Legittime le sanzioni disciplinari non previste dal regolamento aziendale.
L’art. 7 dello Statuto dei lavoratori prevede che le norme disciplinari relative alle infrazioni ed alle relative sanzioni, nonché le norme che disciplinano le procedure di contestazione delle violazioni, debbano essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in un luogo accessibile a tutti.
Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza - considerato che la necessità di assolvere all’obbligo stabilito dallo Statuto deve necessariamente fare i conti con contesti aziendali eterogenei, molto diversi tra loro - è sufficiente indicare sinteticamente all’interno del regolamento disciplinare le possibili infrazioni ed il criterio di corrispondenza con le sanzioni che possono essere comminate.
Questa lettura, però, ha condotto nel tempo ad un’interpretazione strettamente riduttiva, sfociata nell’adozione di regolamenti disciplinari che si limitano a riprodurre pedissequamente il contenuto dell’art. 2119 c.c. (licenziamento per giusta causa), unitamente ad una serie di altri concetti vagamente generici e – di fatto – privi di contenuto specifico (“saranno sanzionate con licenziamento con preavviso solamente quelle mancanze non sufficientemente gravi da giustificare il licenziamento in tronco…”).
Al di fuori di questa censurabile prassi, però, vi sono effettivamente dei casi in cui il datore di lavoro può procedere a comminare una sanzione disciplinare anche nel caso in cui la condotta del lavoratore a cui intende reagire non sia contemplata dal regolamento aziendale.
Come ha recentemente chiarito la Corte di cassazione, infatti, ai fini della validità del licenziamento per motivi disciplinari non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare in presenza di violazione di norme di legge o di doveri fondamentali del lavoratore che possono essere riconosciuti come tali senza alcuna specifica previsione.
Nel caso di specie, segnatamente con la sentenza n. 12321 del 14 aprile 2022, la Suprema corte ha affrontato il caso di una dipendente che – in costanza di rapporto di lavoro – è stata condannata per il reato di tentata truffa e di conseguenza licenziata per giusta causa. La contestazione del fatto ed il successivo licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro, sono pertanto stati dichiarati legittimi dalla Cassazione, proprio sulla base dell’assunto per il quale “ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione - ravvisabile nella specie - di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione”.
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